IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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"Talvolta la follia stessa è la maschera per un sapere infelice troppo certo.” (Friederich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1886).
L’autore novecentesco Italo Svevo, in "La coscienza di Zeno", analizza il “tema del doppio” e viaggia tra il conscio e l’inconscio, tra ciò che si è realmente e ciò che si mostra essere.
Zeno, inetto per eccellenza, combatte per tutta la sua vita con quello che Shopenhauer ha definito senso di “noluntas” (accidia), che lo rende un personaggio statico, bloccato. La sua figura ha molti punti in comune con quella dell’artista Vincent Van Gogh che, durante la sua convivenza con Gauguin, scopre di avere un antagonista al quale è inevitabilmente legato perché si rivela essere il suo alter-ego. Gauguin è la proiezione di tutto ciò che Van Gogh vorrebbe essere ma che non può, perché intrappolato nella sua follia.
Il suicidio dell’artista si è rivelata l’unica via di fuga da una realtà alla quale non si sentiva appartenente e lo si evince soprattutto dal suo ultimo dipinto “La notte stellata” che è il manifesto da un lato della sua insanità mentale e dall’altro della sua visione cupa del mondo circostante.
Anche l’inetto sveviano Alfonso si suicida nel tentativo di evadere da una realtà che lo soffoca e dal senso di indolenza che pervade il suo animo. L’inquietitudine sociale e individuale è espressa anche dall’artista Munch in “L’urlo”; l’uomo in primo piano, colui che sta urlando, simboleggia la paura di ogni essere umano, la solitudine di chi si è perso dentro e si sente inutile tra tanta gente. Il ponte che si perde nell’orizzonte, rappresenta le difficoltà che ognuno di noi deve affrontare, gli ostacoli da superare durante la vita. Le due figure in secondo piano, che camminano e si allontanano, indicano la società, le comuni genti, che fanno parte di una realtà ordinaria in cui le folli genialità sono oppresse e stentano ad esprimersi.
In una società malata, il sano viene sfumato sino a confondersi del tutto con il malato. Ma chi è realmente il sano? E chi è il malato?
Svevo ci permette di arrivare alla conclusione che il malato può essere chiunque tra noi: egli si nasconde, vivendo nell’ombra del proprio antagonista, grazie alla maschera sociale che si è costruito e cerca di abbattere il muro dell’inettitudine senza successo.
L’inetto, quindi, non è solo colui che manifesta il proprio disagio psichico e sociale ma è soprattutto chi abbassa la testa dinanzi ad un qualsiasi problema e finge indifferenza per non sembrare diverso, inadatto.
Ognuno di noi, a modo proprio, è inetto e non è pronto ad affrontare il contesto sociale e le sue continue mutazioni.

Rossella Desantis V D Liceo Francesco de Sanctis Trani.

 

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