IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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“Per vivere, proprio come per nuotare, va meglio chi è privo di pesi, perché anche nella tempesta della vita umana le cose leggere servono a sostenere, quelle pesanti a far affondare.”
Scrive Apuleio, lasciando tendere la vita umana verso la leggerezza, verso l’evasione da tutto ciò che la porta in basso. Ma quella stessa vita può apparire terribilmente pesante, se considerata nella singolarità di uomini che trascorrono il loro tempo nel grigiore di un’esistenza monotona e ripetitiva, impossibilitati ad uscire dalla forma loro imposta dalla società.
Eppure, considerando la vita dell’Uomo, essa apparirà come terribilmente leggera, nella complessa finitudine di ogni individuo, destinato a restare su questa terra per un tempo irrisorio.
La vita umana, c’insegna Pirandello, è pesante da reggere prima del “fischio del treno”, prima che la consapevolezza della tendenza umana ad indossare maschere venga alla luce e che il singolo si renda conto di quanto la sua sia una non-vita.
Tuttavia, dopo la presa di coscienza, dopo che l’uomo realizza la sua situazione e ne comprende ogni possibilità, vi è un capovolgimento nel peso della sua esistenza. Quella vita pesante, che appariva in tutta la sua terribilità, si mostra in un’infinita leggerezza, che può portare l’uomo alle soglie della follia, nel momento in cui essa sfugge al controllo. Evaso dalla prigione della forma l’essere umano si scopre moltiplicato, non uno ma centomila sé, che tuttavia si annullano come se si moltiplicasse per zero. L’uomo si scopre leggero e, sorpreso di ciò, si ubriaca di tale libertà, apparendo agli occhi degli altri come folle.
La vita è pesante anche secondo il filosofo tedesco Nietzsche, che tuttavia afferma anche l’importanza di non sottrarsi a quella pesantezza e di accettarla come parte dell’esistenza stessa, come fondamento di uomini destinati a non giungere mai ad una pace poiché legati all’errore di considerare la loro felicità come un qualcosa di esterno a se, quando invece la scelta migliore sarebbe accettare il caos che governa la nostra esistenza, cogliere ogni evento come accade, nella sua imprevedibilità.
L’uomo felice, che si scopre leggero nella sua pesantezza, è l’uomo del “dramma”, che accetta la terribilità della sua vita e convive con essa ogni giorno.  
Il fardello più pesante diviene allo stesso tempo il più leggero, le nostre vite, osservate sullo sfondo di tutta la loro pesantezza, appaiono come fragili ed eteree, eternamente mutabili, spoglie d’ogni certezza.
“Non sapere di sè vuol dire vivere. Sapere poco di sè vuol dire pensare” scrive Fernando Pessoa, portandoci all’amara consapevolezza di quanto sia difficile comprendere se stessi, di come sia pericoloso riconoscersi. L’uomo, se accetta la pesantezza della sua vita, se evade dalla gabbia di ferro delle forme imposte dagli altri può scoprirsi leggero, tremare come una foglia in autunno e danzare nel vento della propria esistenza.
Ma quanto di ciò è realmente positivo? Dove conduce l’abbagliante consapevolezza di sè?
Non tutti gli uomini sono in grado di accettare ciò che la loro vita rappresenta, non tutti riescono a sopravvivere a loro stessi.
Scoprirsi leggeri nella pesantezza dell’esistere può portare l’uomo a smarrirsi, a dimenticare il fine ultimo delle sue azioni. Ubriaco di cielo egli si perde e non è più in grado di tornare indietro, alla vita che conduceva prima.
Come afferma Milan Kundera quando ci ricorda che “Più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale ed autentica. Al contrario, l’assenza di un fardello fa si che l’uomo diventi più leggero dell’aria (…) solo per metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato.”
La scelta migliore sarebbe quindi non sottrarsi al giogo della pesantezza per non rischiare di perdersi nella troppa leggerezza della vita? L’unica scelta possibile per non perdere sè stessi è quella di ancorarsi alle maschere di ferro degli altri ed evitare di “volar via”?Se fosse questa l’unica soluzione l’uomo non potrebbe che restare imprigionato in se stesso, schiavo degli altri, destinato a portare un fardello che lo condanna a non essere mai libero o leggero.
Ma vi sono altri modi per non smarrire completamente la strada, per non rischiare di perdersi in una leggerezza che diviene inconsistenza.
Bisogna imparare a vivere con leggerezza –non scambiandola per superficialità- senza dimenticare che vi è un mondo reale in cui “tornare”, pur nella possibilità di evadere ad esso tramite l’accettazione della vita come irriducibile emozione di esistere e di esserne cosciente, di scoprirsi leggeri nell’infinita pesantezza di un’esistenza fragile, e pertanto dolcemente incatenati, in bilico tra leggero e pesante, in un non-luogo che pone il singolo dinanzi ad una continua scelta, nella consapevolezza della possibilità dell’errore.
Clara Taccarelli 5Bu Liceo Bianchi Dottula - Bari

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