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“Dal punto di vista degli esclusi dal governo, la democrazia non è una meta raggiunta, [...] è conflitto. Quando il conflitto cessa di esistere, quello è il momento delle oligarchie”. Scrive Gustavo Zagrebelsky in un articolo pubblicato su “La Repubblica”.
Con questo termine s’indica quel tipo di governo che permette ad ogni cittadino di esprimere liberamente il proprio pensiero e di partecipare, più o meno attivamente, alla vita politica dello stato.
Democrazia è il governo della maggioranza, dei più “forti” di ogni popolo.
E la minoranza? Coloro le cui idee sono in disaccordo con quelle della massa?
La democrazia, così intesa, è in conflitto con se stessa, eternamente alla ricerca d’un equilibrio politico che non sfoci nel totalitarismo.
Una ricerca della sua migliore versione è stata fatta sin dai tempi antichi, partendo dalle poleis greche, e giungendo alla complessità del mondo moderno, in cui lo sviluppo della globalizzazione influenza sempre più attivamente la politica.
Parlando di democrazia, tuttavia, non si può non trattare di libertà.
È stato infatti durante il periodo delle grandi dittature, con la soppressione della libertà, che la democrazia ha vissuto il suo periodo più buio.
Hannah Arendt, giornalista e filosofa ebrea sopravvissuta alla seconda guerra mondiale, durante la documentazione del processo al gerarca nazista Eichmann, ha “scoperto” come, uno dei maggiori nemici della democrazia, sia l'uomo che non pensa, ignorando il male che compie. Nel suo libro “La banalità del male”, vi è la terribile testimonianza di chi si è reso conto che la maggior parte del male compiuto è stato frutto dell'ignoranza di uomini in grado solo di seguire gli ordini ricevuti, inconsapevoli delle conseguenze.
Ma questa visione non giustifica le azioni compiute.
Secondo Karl Popper, infatti, la libertà degli uomini si manifesta come la loro responsabilità di rispondere consapevolmente di ogni azione compiuta.
Ma basta questo per garantire libertà e democrazia? È sufficiente che l'uomo, come sosteneva Dewey, rispetti ogni idea e parere, per vivere felice e sereno nelle comunità statali?
Purtroppo no, poiché il rischio, quando il rispetto reciproco diventa accondiscendenza, è quello che l'uomo perda se stesso.
Fu John Stuart Mill, infatti, che ci presentò per primo questa problematica. Egli pose la grande differenza tra il governo della maggioranza, e quello efficacemente democratico.
Il governo della maggioranza, previsto negli stati democratici, deve tuttavia evitare di dimenticare l'esistenza della minoranza, di quella parte del governo che, seppur più piccola, è la principale fonte di confronto con idee diverse e pertanto non va sottovalutata; poiché farlo equivarrebbe ad accomunare ad un'idea unica ogni membro dello Stato, rischiando di confondere il cittadino con il suddito.
Come può quindi salvarsi la democrazia? Come può il popolo evitare di cadere negli errori delle dittature? Con la digitalizzazione sempre maggiore della politica come il cittadino può difendersi dagli errori del passato, restando integro nella sua individualità, pur facendo parte di uno stato?
Una risposta completa, per ora, non è stata ancora data. Certamente il pensiero di Norberto Bobbio, studioso della Costituzione, che sosteneva l'importanza di non “assuefarsi” alla democrazia, ci si è avvicinato.
Così come quello di Antonio Gramsci, attivo politicamente in Italia tra il 1919 ed il 1935, che esortava a non restare indifferenti alla politica, ma far sì che essa fosse la base per costruire un Paese migliore.
È nel pensiero di Isaiah Berlin, però, che la visione del binomio libertà-democrazia si fa più completa. Parlando di libertà positiva e negativa egli identifica le caratteristiche che essa deve assumere. La prima è intesa come “capacità di fare”, “essere in grado di”. La seconda è una libertà che sceglie senza interferenze esterne, senza limiti o divieti. L’una tuttavia non esclude l'altra, bensì la completa. Bisogna fare tutto ciò che si può per se stessi (e per lo stato) ma nei limiti di ciò che si è in grado di compiere nel più corretto dei modi.
Questa, forse, dovrebbe essere la base di ogni buona democrazia, nel rispetto e nella responsabilità dei singoli, poiché lo Stato si rispecchia nei cittadini che lo compongono e “s’interessano di lui”.
Clara Taccarelli, VBu Liceo Bianchi Dottula - Bari

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