IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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Svevo ha pubblicato diversi romanzi, ma quello che viene considerato il più moderno è intitolato “La Coscienza di Zeno”, pubblicato nel 1923, in cui propone una narrativa aperta e problematica e una scrittura piuttosto moderna, tant’è che presenta addirittura dei punti di contatto con lo “Stream of counsciousness” dello scrittore irlandese James Joyce.
Il protagonista, Zeno Cosini, ha vissuto la sua intera esistenza in un rapporto conflittuale con suo padre. Notiamo bene come Svevo si serva della teoria psicoanalitica freudiana, secondo cui tra i tre e i cinque anni si sviluppa il complesso di Edipo, il quale comporta un attaccamento erotico nei confronti del genitore di sesso opposto e un atteggiamento ostile nei confronti del genitore dello stesso
sesso. Generalmente, tale crisi viene interiorizzata verso i cinque anni, ma in un soggetto nevrotico, come Zeno, non viene superata, tant’è che quest’ultimo non riesce a liberarsi del senso di colpa. Quando egli viene a conoscenza che suo padre è in fin di vita è come se egli volesse autoassolversi, anche cercando di rispettare con precisione le prescrizioni del medico. Si tratta di un comportamento tipico della figura dell’inetto, ricorrente nei romanzi sveviani, ossia un uomo incapace di concretizzare i propri progetti. Dunque, in tal caso il fallimento è dovuto a motivi psicologici. Nella parte iniziale del capitolo IV, Zeno esordisce con la data precisa della morte di suo padre, ossia il 15 aprile del 1890, definendola lui stesso come l’evento più importante della sua vita perché per lui fu un’enorme catastrofe. Nel capitolo ci racconta della malattia del padre, che attraverso una cura con le sanguisughe, le “mignatte”, riesce a migliorare la sua condizione per alcuni giorni, nonostante Zeno non fosse d’accordo poiché la riteneva un’inutile crudeltà. Un giorno si verificò una “scena terribile” che Zeno non
dimenticherà mai. Dato che il dottore aveva consigliato di rimanere a letto, Zeno costringe suo padre a riposarsi per almeno mezz’ora,
credendo che il suo dovere consistesse proprio in questo. Perciò si assiste ad un’apparente inversione dei ruoli perché il protagonista deve assumersi la responsabilità e deve prendere le decisioni. Questa sorta di ribaltamento di ruoli lo si raggiunge completamente nella scena drammatica prima della morte, in cui Zeno decide di imporsi al padre con violenza fisica, costringendolo a rimanere a letto, così come il medico aveva prescritto. Per un breve istante il padre obbedì, ma, dopo aver gridato contro suo figlio, ristabilisce le posizioni che Zeno aveva creduto di ribaltare, compiendo un estremo atto di punizione. Infatti, con “uno sforzo supremo” si alzó dal letto in cui era stato costretto a rimanere e “alzò la mano alto alto” per colpire il viso di suo figlio. Infine, dopo che il padre scivolò sul pavimento, Zeno lo sollevò e lo ripose sul letto. Tuttavia, non riuscendo a metabolizzare il trauma della morte di suo padre e incapace di convivere con il ricordo della punizione paterna, ricorre ad una ricostruzione deformata dei fatti e si autoconvince che suo padre sia “debole e buono”. Alla fine, tale immagine viene ribaltata e il suo processo di autoassoluzione si conclude con il recupero della calma interiore, scaricando la responsabilità sul Dottor Coprosich. Pertanto, il rapporto antagonistico non è rintracciabile solo in quello tra Zeno e suo padre, ma anche in quello tra Zeno e sua moglie Augusta. É bene precisare che ella non fu la sua prima scelta, tant’è che inizialmente si dichiarò alle sue sorelle, le quali lo rifiutarono. Perciò, Zeno si vide costretto a chiedere ad Augusta di sposarlo, rivelandole di non sapersi rassegnare a rimanere solo. In qualche modo, Zeno ammira Augusta perché ella vive un presente rassicurante colmo di attività pratiche e concrete e non sembra mai sfiorata dal dubbio, tant’è vero che la definisce “la salute personificata”. Tuttavia, alla fine i ruoli si invertono perché la vita di Augusta, che
dà rilevanza a cose futili, è una vera e propria malattia.Ciò riflette la concezione sveviana secondo cui i sani sono i veri malati e viceversa, poiché i veri malati sono coloro che non si pongono domande e che rimangono cristallizzati nelle loro posizioni. Perciò, il protagonista si autoconvince di amare sua moglie e del fatto che vivere al suo fianco gli avrebbe garantito la salute, ma in realtà è esattamente l’opposto.
La famiglia è un’istituzione fondamentale che al suo interno determina delle dinamiche che vanno al di là dell’istituzione in sé. Quindi, ogni famiglia è caratterizzata da relazioni differenti che possono essere serene, ostili oppure una via di mezzo, e numerosi letterati hanno dato voce a queste dinamiche. In particolare, il romanziere e drammaturgo Luigi Pirandello parla della cosiddetta “trappola familiare”, dalla quale è possibile fuggire solamente attraverso la follia, l’isolamento e il suicidio. Molti dei suoi romanzi trattano di questo tema, come per esempio “Il Fu Mattia Pascal”, in cui il protagonista ha una relazione piuttostocomplicata sia con sua moglie sia con sua suocera. Un altro esempio ci è fornito dal romanzo di Giovanni Verga, appartenente al Ciclo dei Vinti, intitolato “Mastro-don Gesualdo”, in cui il protagonista è un ex manovale che è riuscito ad arricchirsi e a comprarsi il titolo nobiliare sposando una nobildonna di nome Bianca Trao, la quale ha in grembo la figlia di suo cugino, Isabella. Tuttavia, il protagonista è maltollerato sia dagli aristocratici sia dalla sua famiglia, in quanto è un “parveneu”, ossia un uomo che ha compiuto una “scalata” sociale, ma che alla fine rimane quel che èsempre stato, un manovale. Difatti, Isabella, che non è sua figlia biologica, si vergogna di lui solo perché non ha origini nobiliari. Quindi, Mastro-don Gesualdo rappresenta l’emblema della crisi del self-made man, ma non dal punto di vista economico, bensì da quello affettivo. Un ulteriore esempio di rapporto con i familiari lo possiamo rintracciare nella novella verghiana “Rosso Malpelo”, in cui il protagonista mostra un attaccamento affettivo piuttosto intenso nei
confronti del padre, Mastromisciu. Il loro rapporto profondamente affettivo viene dimostrato anche dalla scena in cui il padre viene
sotterrato dall’altra rena a causa del cedimento di un pilastro e suo figlio arrivò addirittura a farsi sanguinare le unghie a costo di
salvare una persona importante per lui. Tuttavia, le relazioni non sempre sono positive, ad esempio quando parliamo dei Malavoglia, il cui il capo famiglia, Padron ‘Ntoni, è un uomo fortemente radicato al mos maiorum, per cui quando suo nipote ‘Ntoni decide di non lavorare e di farsi mantenere addirittura da una donna, non può non riconoscere la diversità del nipote rispetto all’etica del lavoro e al sacrificio a cui il resto della famiglia è abituata. Tanto è vero che quando il nonno si reca all’osteria per cercare di convincere il giovane ‘Ntoni a cambiare vita, suo nipote afferma che non vuole svolgere un lavoro massacrante e che non vuole sottoporsi ad una vita estenuante come il resto dei suoi familiari. Queste parole del nipote hanno schiacciato Padron ‘Ntoni peggio di un masso piombatogli sulla schiena.
Stefania Loconte 5Bu Liceo G. Bianchi Dottula, Bari 

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