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Le Notti Bianche è un capolavoro scritto da Fëdor Dostoevskij nel 1848. Questo romanzo è il regno per eccellenza del sognatore romantico. Un mondo dei sogni, delle fantasticherie, degli amori mai vissuti e delle delusioni inspiegabili.

Un giovane sognatore, nella magia vagamente inquieta delle nordiche notti bianche, incontra una misteriosa fanciulla e vive la sua “educazione sentimentale”, segnata da un brusco risveglio con conseguente ritorno alla realtà.
Un Dostoevskij lirico, ispirato, comincia a riflettere sulle disillusioni dell'esistenza e dell’amore. Il protagonista si autodefinisce un sognatore. Infatti, si tratta di un ragazzo dalla sensibilità accesa, che vive in totale solitudine, a San Pietroburgo, separato dalla realtà e dalla società, e completamente immerso in un suo mondo fantastico.
Questo finché una notte, vagabondando per la città, incontra una fanciulla di nome Nasten’ka, che sembra come lui triste e bisognosa di affetto… Ecco come inizia tutto.
È straordinaria la grandezza di questo scrittore, che, attraverso un libro di 125 pagine, riesce a condurre profonde e dettagliate analisi psicologiche dei personaggi. Egli è perfettamente capace di scavare nell’interiorità dell’uomo,  per portarne alla luce la complessità, facendoci vedere quanto siamo piccoli, noi, esseri umani.

Il sognatore, oramai abituato alla sua vita inquieta e cupa, riesce a creare perfettamente la sua vita immaginaria.  Sognatore… Un fantasma che si aggira nelle vie della città come se non fosse davvero lì.  Ed è vero, un sognatore sta ovunque, ma non nel posto in cui si trova veramente. È colui che prende cose dalla realtà e le trasforma, fa e disfa trame, ruba le sembianze grigie e nere della vita e le inserisce in un sogno di sua fattura.
Un sognatore è colui che riesce a scappare dalla realtà senza spostarsi di un millimetro, solamente pensando.
È colui che riesce a volare senza le ali, col suo pensiero profondo.
Ma, perso nelle sue fantasie, spesso si dimentica del mondo reale.  Si immerge così tanto nel mare dei suoi sogni, che si dimentica di vivere davvero.
Poi, abbagliato dalle sue fantasticherie, inizia a volare sempre più in alto, andando sempre più lontano dalla terra e arrivando fino alle nuvole.
“Ma finché non arriva quel terribile momento” afferma il narratore, “egli non desidera nulla perché è al di sopra di qualsiasi desiderio, possiede tutto, è sazio, perché è egli stesso l'artefice della propria vita e la crea ogni momento secondo la propria volontà. E questo mondo fiabesco, fantastico, si lascia creare così facilmente, in modo così naturale! Come se non si trattasse di visioni... Infatti, egli, in alcuni momenti, è pronto a credere che tutta questa vita non sia un effetto dell'eccitazione dei sensi, un miraggio, un'illusione della fantasia, ma che tutto sia vero, autentico, reale!”.  
Forse, era confortevole sognare, per lui. Riusciva perfettamente a dimenticare un mondo grigio e pieno di delusioni, e a scappare in un cielo blu, pieno di stelle luminose.
Per quattro notti il giovane sognatore e Nasten’ka si incontrano, parlano, si confessano l’uno all’altra. Il sognatore si innamora, lei lo asseconda, ma non riesce a smettere di pensare a un altro, che aspetta con ansia da un anno.
Egli non si rende conto che la vera delusione sarebbe arrivata il giorno seguente, sarebbe arrivata con l’alba, con la luce del sole, e avrebbe distrutto qualsiasi cosa creata da lui.
Non è forse vero che i sogni si distruggono sempre? Anche per il sognatore arriva quel momento decisivo, il momento in cui si rende conto di aver perso gran parte dei suoi anni a fantasticare, dimenticando il valore della sua vita.
È a questo punto che l’autore, in modo freddo e spietato, inizia pian piano a far crollare l’intero castello dei sogni che il protagonista si era costruito per anni. È qui che lo scrittore ci offre un dipinto crudele e triste della realtà. Anche i sogni muoiono.
Poi, finalmente, tornato coi piedi per terra, il protagonista si guarda attorno ritrovandosi totalmente solo, in una grande città. Ma poi, una volta realizzato questo, capisce che in realtà lo è sempre stato... “perché già in quei momenti ho cominciato a pensare che non sarò mai più capace di vivere una vita reale, perché mi è già sembrato di aver perduto ogni sensibilità, ogni fiuto per ciò che è vero e reale; perché infine, ho maledetto me stesso; perché, dopo le mie fantastiche notti, mi colgono dei momenti di ritorno alla realtà che sono terribili!”.  
Noi esseri umani ci dimentichiamo sempre quello che conta davvero. È la nostra natura, questa. Mettiamo costantemente sempre più schermi e issiamo muri sempre più alti. Ma non ci rendiamo conto che anche il più bel sogno creato da noi, non può competere con la vita.
“Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?” si domanda il protagonista, dopo esser riuscito ad amare veramente una donna, e dopo averla persa.
Salome Gelashvili IV Ce Liceo Bianchi Dottula - Bari

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