IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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Tutte le donne amano sentirsi belle e sicure di sé. Spesso però per potersi sentire a proprio agio, perfezionano la propria bellezza naturale utilizzando COSMETICI e cercando di diventare perfette. Il termine cosmetica deriva da COSMOS perciò possiamo parlare di BELLEZZA COSMICA ovvero armoniosa, ordinata, proporzionata.
Credo che con il termine bellezza non si intenda solo la bellezza perfetta, ma anche quella che non viene colta immediatamente, come la bellezza delle avanguardie artistiche che potrebbero non piacere a primo impatto.
Per riuscire a comprendere realmente tutte le varie forme di bellezza, bisogna imparare a DE-STRUTTURARLE, procedendo “invisibilia per visibilia” ovvero andando oltre le apparenze e cercando ciò che non si vede attraverso ciò che si vede.
Bisogna perciò imparare ad AMARE NON SOLO LA BELLEZZA PERFETTA perché ognuno di noi possiede una bellezza personale che potrebbe non essere apprezzata da tutti perché non perfetta, ma che, nonostante non sia impeccabile, è pur sempre una bellezza.
Potremmo chiamarla BELLEZZA VULNERABILE che deriva da vulnus ovvero una cicatrice che si può richiudere e nella quale bisogna guardare per poter trovare qualcos’altro, magari nuove forme di bellezza.
Maurice Merleau-Ponty ne “L’occhio e lo spirito” afferma che l’artista è colui che non si sofferma alle apparenze, ma che “entra nella cicatrice” riuscendo a vedere dall’interno e che poi trasmette sulla tela ciò che vede. Potremmo quindi definire l’arte come uno strumento di connessione emotiva.
Pablo Picasso nel 1907 ha rappresentato un’opera manifesto del Cubismo “LE DAMIGELLE DI AVIGNONE”. Ha raffigurato cinque modelle disposte frontalmente che mostrano in modo provocatorio la loro nudità all’osservatore. In questo dipinto non vi è armonia, i colori sono abbozzati ed i visi delle ragazze sono indefiniti.  Non si nota la loro bellezza cosmica perché Picasso opera un lavoro di scomposizione della forma per andare oltre la superficie. Se mi fermassi alle apparenze e osservassi il dipinto superficialmente quindi, penserei che le donne siano brutte ma guardandole con maggiore attenzione, riuscirei ad “entrare nella cicatrice” ed a percepire la particolare bellezza delle modelle.
Questa cicatrice viene rappresentata da Lucio Fontana ne “Le attese” durante lo Spazialismo. Sono opere caratterizzate da un unico taglio o da una serie di tagli verticali, netti, decisi, con cui l’artista incide la tela monocroma. Bisogna imparare a guardare all’interno di questi tagli, di andare oltre le apparenze e quindi di non concepire la tela esclusivamente come una superficie su cui dipingere, ma anche come un elemento nello spazio.
Possiamo perciò concludere affermando che, come dissero Dostoevskij ed i fratelli Karamazov, “non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza è impossibile”.
Francesca Lorusso - classe 4^BU Liceo delle Scienze umane "Bianchi Dottula" Bari 

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