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La talidomide è un farmaco che fu utilizzato negli anni Cinquanta e Sessanta come sedativo,anti-nausea e ipnotico, dalle donne in gravidanza. Tuttavia, ad un anno dalla sua commercializzazione si cominciò a notare un aumento di incidenza di gravi malformazioni neonatali di nati con un’embriopatia da talidomide.
Nel 1961 al congresso Pediatrico Nazionale in Germania, per la prima volta, la comunità scientifica documenta due casi clinici con difetti congeniti agli arti. In quella sede il prof. Lenz suggerì che tali malformazioni erano ascrivibili all’uso di talidomide in gravidanza. Il farmaco venne ritirato dal commercio grazie alla scoperta della teratogenicità di uno dei suoi enantiomeri: le donne trattate con talidomide davano alla luce neonati con difetti di riduzione nella lunghezza degli arti di vario grado ed altri tipi di malformazioni congenite
Gli studi condotti negli anni successivi consentirono di capire che il talidomide causava danni all'embrione in una finestra di tempo breve, noto anche come "periodo critico“, che si attesta tra i 20 ed i 36 giorni dopo la fecondazione. Durante il periodo critico, gli studi indicano che anche solo una compressa da 50 mg è sufficiente per causare anomalie congenite nel 50% delle gravidanze. Altri studi hanno evidenziato che l’esposizione a concentrazioni elevate o somministrazioni prolungate prima del periodo critico può indurre aborto. La gravità e la molteplicità dei danni dunque sono correlati ai diversi tempi di esposizione dell'embrione, al suo periodo di sviluppo e alle diverse concentrazioni del principio attivo assunto.
Vanessa Gallone 5Au Liceo Bianchi Dottula - Bari

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