IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

Tutto è viaggio. La realtà della nostra esistenza è permeata da continui spostamenti, da perenni mutamenti. Lo diceva Eraclito: tutto è mutamento, tutto si trasforma e, quindi, tutto cambia, tutto si muove.
La vita stessa è viaggio, come dice Todorov. Cos'è la vita umana se non una continua tensione verso  qualcosa? L'uomo, dagli albori della sua esistenza, ha sempre teso verso ciò che era lontano, nuovo. Si può pensare che questa tendenza dell'uomo ad uscire fuori da sé stesso e andare incontro al mistero, forse, sia stato il motore scatenante del progresso.
Nell'uomo, infatti, a differenza delle altre specie, c'è sempre stata una forte inquietudine che l'ha portato a viaggiare, a spingersi al di là del limite e, quindi, a migliorarsi , a non limitarsi ad ottenere qualcosa ma a desiderare di andare sempre più lontano.
Il viaggio, infatti, è raramente da intendersi come un atto prettamente fisico: spostarsi materialmente da un punto all'altro della terra.
Sì, è vero, il viaggio è anche questo, ma uno spostamento fisico comporta sempre uno 'spostamento interiore': quando l'uomo si distacca dall'ambiente in cui è vissuto e va verso un ambiente nuovo, deve necessariamente adattarsi al nuovo ambiente cambiando il proprio modo d'essere, le proprie abitudini, cercando interiormente di andare oltre ciò che era un tempo per trasformarsi in una persona diversa.
Si può pensare, quindi, ad una dimensione più profonda del viaggio che consiste nella formazione interiore , nella trasformazione di sé, nell'incamminarsi verso ciò che è metafisico.
Questa dimensione più profonda del viaggio è forse una delle cose che ci distingue dagli animali, che si spostano solo fisicamente, per necessità e per istinto, senza che in loro il viaggio fisico comporti un viaggio interiore.
Lo diceva anche Dante nella 'Divina Commedia' dove nel canto ventiseiesimo dell'Inferno, Ulisse afferma: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”. Ed è proprio l'eroe omerico, Ulisse, che ci fa riflettere riguardo questa dimensione interiore del viaggio mosso dal desiderio di conoscenza.
Tuttavia, come dice Magris: “L'Ulisse odierno non assomiglia a  quello omerico o Joyciano, che alla fine ritorna a casa, bensì piuttosto a quello dantesco che si perde nell'illimitato”.
E forse è proprio questo il fine del viaggio umano: perdersi nell'illimitato. Forse è questo il senso dell'inquietudine che fin da piccoli ci accompagna e ci spinge ad andare oltre, verso una meta ignota,  consapevoli solo della necessità interiore di incamminarci, di andare avanti, forse fiduciosi di trovare il senso della nostra esistenza, la verità su noi stessi, e, magari, un luogo, quello che cercava l'Ulisse, questa volta omerico, in cui sentirci a casa.
Tuttavia, non sempre l'uomo si sofferma a riflettere su questa dimensione del viaggio. Questo tipo di viaggio, come dice Todorov, richiede tempo, e l'uomo moderno tempo non ne ha. Per questo motivo l'uomo di oggi, di solito, quando per esempio viaggia fisicamente, preferisce soffermarsi sui soggetti inanimati e non su quelli animati. Se il viaggio, infatti, è sopratutto uscire fuori da sé stessi, il primo passo da fare, probabilmente, è rapportarsi agli altri esseri umani, cercare di conoscere gli universi inesplorati delle anime dei nostri simili e, quindi, viaggiare attraverso diverse culture, diverse usanze, diversi modi di pensare.
Tuttavia, l'uomo moderno, per il suo stile di vita frettoloso e la sua superficialità non si sofferma più nemmeno per conoscere l'altro.
Si può pensare che una necessità dell'uomo di oggi sia soprattutto quella di riscoprire la bellezza del viaggio, di dare nuovamente ascolto a quella voce interiore che lo incita da millenni a spingersi oltre, senza soffocarla con tante, piccole, inutili cose e distrazioni che gli fanno perdere il senso della sua identità.
 
Letizia Fornelli IV B, Liceo “F. De Sanctis” - Trani
 

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