IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI


È una serata tranquilla, stasera. Fa un po’ freddo, ma non mi va di stare in casa, anche se il cielo oggi mi pare triste, mi vien quasi da chiedergli: “Cosa c’è che non va?”. Mi chiamo Elena, ho 6 anni, e vivo a Bari. Sono una bambina tranquilla, e mi piace tanto ridere. Non ho giocattoli, non ho bei vestiti, non posso andare a scuola, la mia mamma ha troppa paura. Però sono felice, ho una mamma e un papà che mi vogliono tanto bene, sono così fortunata. Abito vicino al mare, ogni volta che mi sento un po’ triste guardo fuori dalla finestra, e mi torna subito il buon umore. “C’è la guerra, dice sempre mio papà; non è sicuro uscire”. Ma perché i grandi non si vogliono bene? Perché per colpa loro noi siamo così poveri? Perché la gente muore? Mentre penso queste cose, il cielo si fa nero, e uno spiffero entra dalla finestra, facendomi venire i brividi. Sul davanzale, c’è una striscia di carta stagnola. C’è anche qui, e per terra. Non capisco, sono confusa, e ho tanto freddo; sento un rumore in lontananza, mi gela la testa, vedo tutto nero. Guardo l’orologio, segna le 19.30. Sento la voce della mia mamma, sta gridando e corre verso di me. “Corri Elena, corri e non fermarti”. Ma come corri? Dove vado? Non riesco più a pensare, sento solo un botto, forte, fortissimo. E poi un altro, e un altro ancora. La gente per la strada urla, mio padre mi prende in braccio, e continua a correre, coprendomi la testa con le mani. Non vedo più la mamma, vedo solo le navi che vanno giù,scompaiono nel mare, nel mare che è brutto, e ci sono le fiamme. “Che cos’ è papà? Dove sta mamma?”. Papà non risponde, mi mette giù, a sedere in un angolo, e se ne va. Sono sola, e adesso piango. Non so cosa sia, ma sento ancora un rumore forte. Da lontano, vedo papà che arriva, sta tornando indietro, ha la mamma accanto a sé, ha le gambe tutte rosse, vedo il sangue, chiudo gli occhi, ma li riapro subito. In lontananza, continuo a vedere il fumo, e i palazzi che crollano, e casa nostra che crolla. La mamma mi abbraccia, è bollente e piange. Sento le voci delle persone, gridano, tante piangono, ma non sento più niente adesso, improvvisamente. Ho smesso di piangere, non sento più dolore. Forse sto andando da Gesù, con la mia mamma. Riapro gli occhi, non so dove sono, non so che ore sono, o che giorno è. Riconosco un muro bianco, sono all’ospedale. Non ho più voce, non riesco a muovermi, cerco con lo sguardo mamma e papà, ma non ci sono. So che non ci saranno neanche più tardi, so che non ci saranno più.
Anche se lo so, non ci voglio pensare. So che verranno a prendermi, e sento che non mi lasceranno qui da sola. ancora ferma a sentire la voce. E il 2 dicembre, dicono. Centinaia di morti, dicono. Non c’è più posto negli ospedali, dicono. Mi sono appena svegliata, e sono già stanca. Ho nella testa la voce di mia madre, ho tanto freddo e vorrei gridare, ma la voce non esce più. Vorrei alzarmi, correre, ma le gambe non si muovono più. Mi accovaccio in un angolo, e dormo, ma questa volta al mio risveglio non sarò più in ospedale. Mi chiamo Elena, ho sei anni e oggi sono morta. Sono morta per l’acido umano, sono morta per la cattiveria, sono morta per il potere. Sono morta perché il cielo era troppo grigio, per il fuoco nel mare. Sono morta, perché era troppo chiedere di fermare tutto quell’assordante rumore.
“… chiudi gli occhi, bambina, e perdona tutta questa crudeltà. Il cielo per te,non sarà mai troppo grigio”.
Quel 2 dicembre del 1943, centinaia di civili morirono a causa dei crolli dovuti ai bombardamenti sul porto di Bari, ad opera di 105 bombardieri della Luftwaffe tedesca. Centinaia di morti inevitabili, centinaia di vittime innocenti della sete di potere umana. Fin che il ricordo rimarrà uno nella nostra mente e nel nostro cuore, il cielo non sarà mai troppo grigio, per nessuno.
Alessandra Michea III Bu Liceo Bianchi Dottula - Bari

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