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È un romanzo realistico ambientato nell’Abruzzo degli anni 'Settanta del secolo scorso; la morfologia stessa del territorio caratterizza i tratti degli abitanti: i personaggi del paese contadino di montagna in cui si svolge gran parte della vicenda la famiglia biologica della protagonista sono caratterizzati da chiusura e asprezza, mentre quelli delle coste di cui fanno parte l’Arminuta e la sua famiglia adottiva sono più aperti e solari. Il romanzo ha come protagonista una ragazzina di tredici anni, di cui non viene mai detto il nome, ma che viene chiamata “essa”. Il racconto narra del ritorno della protagonista nel paese e nel nucleo di origine, una famiglia povera, senza regole morali e di convivenza civile. Condizioni che per lei sono inconcepibili, avendo invece vissuto fino a quel momento con quelli che credeva essere i suoi genitori in città e con tutti i comfort di una famiglia agiata. E' un dramma adolescenziale in cui l’Arminuta si trova ad avere due famiglie senza averne in realtà nessuna. Ella pertanto si convince che è lei la persona sbagliata e che la sua presenza aggiunge miseria alla miseria della famiglia di origine.

Questo libro fa riflettere anche sui problemi etico sociali della quotidianità, l’adozione, l’abbandono, il sentimento materno. In particolare suscita stupore l'atteggiamento della madre (colei che ha biologicamente partorito l'Arminuta) e della mamma (colei che l'ha cresciuta): entrambe, per ragioni diverse, abbandonano la piccina infliggendole una ferita profonda. La scrittrice utilizza l’anonimia non a caso: questo espediente tecnico serve infatti ad evidenziare la mancanza di una vera identità che condiziona la personalità della protagonista. Tale meccanismo è utilizzato da molti scrittori del Novecento, come Charlotte Perkins Gilman in “La carta da parati gialla” o Graham Green ne “Il potere e la gloria”. In questi romanzi, l’anonimia dei personaggi serve ad indicare l’oppressione di genere o la mediocrità dell'everyman come condizione esistenziale della contemporaneità. Per addentrarsi nelle vene di un territorio così fibroso e primitivo, quale la terra d'Abruzzo, l'autrice utilizza un misto di dialetto e italiano, come si comprende dal titolo del libro, l'Arminuta, la Ritornata. Per ribadire l'anonimia della protagonista si impiega ‘essa’, forma dialettale dell’italiano ‘ella’, che diventa molto più di un pronome personale e assume un grande potere evocativo. Il libro si presta a diverse interpretazioni: può essere letto sia in chiave “tragica-euripidea” che in chiave esistenzialista. Poche frasi riprese dal libro rivelano tutta la complessità della vicenda narrata con estrema maestria dell’autrice:

“Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza”. (Tratto dall’Arminuta)

Martina Chantal Lattanzio 2Au Liceo Bianchi Dottula - Bari

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