IL GIORNALE ONLINE DEGLI STUDENTI DEI LICEI ECONOMICO-SOCIALI PUGLIESI

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Il Settecento è noto per essere il secolo dei Lumi, il secolo della ragione. Si iniziò finalmente a pensare a nuovi sistemi politici, a ritenere la ragione un’arma per liberarsi dalla condizione di minorità causata dall’ignoranza, che rende gli uomini schiavi, a parlare per la prima volta di diritti umani inalienabili. Nella prima metà del secolo queste, però, erano solo idee, non messe a frutto, tranne che in piccola parte in Inghilterra. Soltanto nella seconda metà del Settecento, finalmente, queste idee divennero una realtà concreta e sfociarono in quella che è nota come Guerra d’indipendenza americana, la prima delle grandi rivoluzioni politiche. La Rivoluzione Americana, che ha inizio nei primi anni Settanta del Settecento, scoppiò a causa di molteplici motivazioni che, messe insieme, instaurarono nei coloni il desiderio di essere indipendenti dalla madrepatria. In quel periodo, vi erano tredici colonie formate da popoli differenti: i puritani inglesi, gli ugonotti francesi, gli amish dalle regioni tedesche e tantissime altre minoranze. Questi erano, perciò, abituati alla convivenza e alla tolleranza, la quale era una delle tante idee dell’Illuminismo. Fu per tale ragione e, grazie alla stampa locale e all’importazione di libri dall’Europa, che le idee di questa corrente di pensiero fecero facilmente presa tra gli americani. Ma l’indipendenza fu la conseguenza di altre cause. Difatti, l’Inghilterra aveva imposto le proprie leggi commerciali anche in America, imponendo che solo le navi inglesi potessero attraccare in America e limitando molto i commerci con le altre nazioni. Inoltre, il Regno Unito aveva partecipato alla Guerra dei Sette anni (una guerra tra le potenze europee per l’espansione territoriale durata dal 1756 al 1763), coinvolgendo le colonie americane che si rivelarono fondamentali per l’esito della guerra, favorevole per gli inglesi. Se gli inglesi ottennero la supremazia dei mari, gli americani non guadagnarono assolutamente niente: le casse inglesi, a causa della guerra, erano prosciugate, perciò imposero ai coloni tantissimi dazi doganali e tasse, come ad esempio la tassa sulla stampa, la tassa sullo zucchero e la tassa sul thè. I coloni decisero di ribellarsi: non accettavano di essere tassati da un Parlamento privo di rappresentanti delle colonie americane. Si appellarono al motto “No taxation without representation”. La rivolta vera e propria iniziò il 19 dicembre 1773, quando giunsero a Boston navi cariche di thè. I coloni, travestiti da indiani, salirono sulle navi e buttarono in mare le casse di thè. Quest’episodio, ricordato come Boston Tea Party, fu la prima di una serie di azioni di boicottaggio e il primo atto della Rivoluzione di indipendenza. Nel 1775 venne formato il Continetal Army, ossia un esercito comprendente soldati da tutte le colonie e comandato da George Washington, per affrontare sul campo di battaglia gli inglesi, dando inizio alla guerra vera e propria. Nel 1776, intanto, a Philadelphia si riunirono vari rappresentanti delle colonie (il Congresso continentale) per approvare la Dichiarazione di indipendenza scritta da Thomas Jefferson. Il documento si apre con un appello a Dio e alla natura per giustificare l’indipendenza dalla madrepatria. Poiché ispirato ai cardini del pensiero liberale e giusnaturalista di Locke e Montesquieu, prosegue con l’elencazione dei diritti inalienabili dell’uomo: il diritto alla libertà, il diritto alla vita e, per la prima volta in assoluto, anche il diritto alla felicità. Non c’è un rinnego delle istituzioni in questa dichiarazione, anzi, il documento continua con l’affermare che gli esseri umani hanno bisogno di un’istituzione a governarli, e se l’istituzione è antica, possono anche sopportare gli effetti di un malgoverno finché sono tollerabili ma, se essa non rispetta i diritti inalienabili degli uomini, questi hanno tutto il diritto di modificarla. Detto ciò, inizia una serie di accuse al re del Regno Unito il quale non ha rispettato i suddetti diritti (sciogliendo assemblee, instaurando una specie di tirannide, effettuando un’opera di ostruzionismo all’amministrazione della giustizia, eccetera). La dichiarazione si conclude dichiarando l’America indipendente dallo Stato del Regno Unito a causa dei soprusi attuati dal re e dalla madrepatria, in vista di un nuovo governo rispettoso dei diritti umani. Intanto, sul fronte di battaglia gli americani riuscirono a contrastare l’esperienza dell’esercito britannico sfruttando la miglior conoscenza del territorio e utilizzando la tecnica della guerriglia: così ottennero la loro prima vittoria, a Saratoga, nel 1777. Nel 1781, poi, i due eserciti combatterono la fatidica battaglia di Yorktown, vinta dal Continental Army grazie agli aiuti ricevuti da Spagna e Francia. Questa battaglia segnò la vittoria degli americani, la quale venne ufficializzata due anni dopo a Versailles con la firma della pace e il riconoscimento dell’indipendenza. Bisogna però specificare alcune cose. Gli americani, durante la Rivoluzione, non erano uniti: ci fu anche una guerra civile che vedeva da una parte schierati i lealisti, coloro che desideravano un cambiamento ma volevano restare leali al monarca inglese, e dall’altra i patrioti, coloro che volevano la totale indipendenza dal Regno Unito. Furono costoro a vincere, costringendo all’esilio i primi. In secondo luogo, i principi espressi nella Dichiarazione d’indipendenza valevano soltanto per i bianchi: gli schiavi neri parteciparono alla guerra solo per essere liberati mentre i pellerossa, addirittura, si schierarono con gli inglesi per la paura del dominio americano. L’ultimo passo importante di questa Rivoluzione fu la stesura della Costituzione Americana nel 1787 e la nascita della Repubblica federale, con presidente George Washington.
La Guerra d’indipendenza fu il primo atto di supremazia di un popolo extraeuropeo nei confronti di una delle più potenti nazioni del Vecchio continente. Per questo, ebbe una grande risonanza nei Paesi dell’Europa, culla delle idee che avevano portato allo scoppio di questa Rivoluzione, dando il via al periodo delle grandi rivoluzioni politiche (tipo la Rivoluzione francese). A mio parere, però, questa rivoluzione è stata e continua ad essere di vitale importanza poiché, per la prima volta, un insieme di colonie, un insieme di popoli completamente diversi tra loro, spesso dei fuggitivi, era riuscito a dichiararsi indipendente da una superpotenza europea, ossia l’Inghilterra, facendo leva su idee come la tolleranza, la libertà, la felicità, l’egualità! La Dichiarazione d’indipendenza e la Costituzione americana furono prese come modello, infatti, dalle nazioni europee ribelli, basti pensare al famoso motto dei francesi: “Libertè, fraternitè, egalitè”, per non parlare del fatto che questi due documenti ispirarono, anche se due secoli dopo, la Dichiarazione dei diritti umani e del cittadino. Non a caso la Costituzione è ancora oggi in vigore negli Stati Uniti. Sorprende, in negativo, che gli americani non rispettassero affatto i diritti dei pellerossa, che cacciavano dalle loro terre e uccidevano, e quelli degli schiavi neri. Su questo atteggiamento pesano i pregiudizi di ordine razzista e la considerazione che quei popoli fossero subumani e, perciò, potessero essere sfruttati fino allo sfinimento.
Spesso noi tendiamo a sottovalutare i diritti che ci sembra naturale avere e i vantaggi di vivere in uno Stato che, nonostante i suoi limiti, garantisce a tutti i suoi cittadini la libertà, e non pensiamo che esistano ancora oggi Stati soggetti ai soprusi di un governo dispotico che priva i suoi cittadini persino della libertà di espressione, come accadeva alle tredici colonie americane prima della Rivoluzione. Dovremmo ringraziare quei ribelli, che hanno rischiato la morte per ottenere l’indipendenza e i loro principi, quali la democrazia, la libertà, la felicità, che sono giunti a noi oggi.
Martina Chantal Lattanzio IV Au Liceo Bianchi Dottula - Bari

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